• Aprile

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    2023
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La violenza dei figli

La violenza dei figli

E’ un fenomeno in crescita quello dei figli che alzano le mani sui genitori. Il fenomeno è sicuramente sottovalutato ed è stato acuito dal lockdown che ha avuto effetti pesanti non ancora pienamente valutati oltre ad avere reso impossibile stemperare all’esterno la conflittualità familiare.

Il fenomeno riguarda in gran parte famiglie apparentemente normali, spesso di buon livello socioeconomico: ci sono anzi dati che mostrano come casi di questo genere siano più frequenti quando uno dei genitori svolge una professione di aiuto.

L’Italia è tra i paesi con il tasso di violenza minorile più basso nonostante i problemi che a volte si manifestano. I dati mostrano che in genere i minori con esperienze criminali sono violenti all’esterno ma non in famiglia anzi sono molto legati soprattutto alla madre.

Non necessariamente i bulli in famiglia sono tali anche con gli altri.

Molti di quanti commettono violenza in famiglia non hanno precedenti criminali, semmai fanno uso di sostanze, alcool o farmaci che possono slatentizzare problemi psichici o incentivare l’aggressività.

Ci sono alcuni ragazzi vittime di situazioni familiari disagiate che reagiscono con violenza alle aggressività percepite dei genitori nei loro confronti.

E sono soprattutto le madri a essere vittime dell’aggressività dei figli, mentre a esercitare la violenza sono sia ragazzi che ragazze, particolarmente nei casi in cui non si parla di vere e proprie aggressioni fisiche ma di dinamiche psicologiche vessatorie, manipolatorie.

In genere i primi segnali sono richieste di denaro, violenza verbale o psicologica. In molti casi la violenza fisica scatta in un secondo momento, spesso come reazione a un tentativo di bloccare il ragazzo, per esempio di impedirgli di uscire da casa.

Che ci sia un moto di ribellione dei ragazzi, soprattutto maschi, nei confronti di chi esercita l’autorità è fisiologico come lo sono i conflitti generazionali.

La novità è che oggi questa ribellione genera sgomento. Mentre sino a non molto tempo fa il gesto violento doveva essere fermato ristabilendo i ruoli, negli ultimi anni la situazione è cambiata: eventi di questo genere sono destabilizzanti perchè anche i genitori hanno perso la consapevolezza della propria responsabilità e il mondo adulto non trova chiavi di lettura per dare ragioni di simili condotte, chiedendo in qualche modo di essere salvati dai figli.

Siamo difronte ad una crisi del ruolo genitoriale. Spesso le famiglie si trovano sole anche nei casi più gravi, per esempio difronte a ragazzi che stanno sviluppando un disturbo mentale e le istituzioni e i Servizi stentano a individuare strumenti adeguati per gestire questi problemi.

A volte sono i Servizi sociali che seguono famiglie con altri problemi, abuso di sostanze, abbandono scolastico o microcriminalità a segnalare che in quel nucleo familiare è emerso un problema di violenza mentre in altri casi un gesto violento fa partire una segnalazione ai Servizi sociali o un iter giudiziario.

In questi casi il ruolo del giudice minorile è quello di rappresentare l’autorità che prende in carico la situazione assumendosi la responsabilità di tracciare le coordinate per i possibili interventi psicosocioeducativi a cura dei Servizi territoriali e specialistici.

Parte del problema deriva dai cambiamenti all’interno della famiglia. A cominciare dall’infanzia oggi il principio di autorità in quanto tale è venuto meno. I figli vengono cresciuti con un’educazione affettiva, relazionale e risulta difficile poi nell’adolescenza cambiare le cose introducendo di colpo un nuovo criterio basato sull’autorità.

Il fatto che oggi le famiglie siano molto affettive, disposte al dialogo  e che i rapporti siano basati sul confronto, sulla partecipazione, ha indubbiamente i suoi vantaggi.

Il problema è che manca una gerarchia e se oggi i bambini hanno fin da piccoli molta autonomia spesso si confonde questa autonomia con la capacità di essere adulti.

Se tra genitori e figli c’è sintonia tutto funziona, ma se il figlio non risponde alle aspettative dei genitori, ne può originare un senso di frustrazione, di costrizione psicologica cui i ragazzi possono rispondere con un atteggiamento aggressivo. E il rischio è che alcuni interventi acuiscano il conflitto: se il genitore segnala il figlio al tribunale o ai Servizi, queste istituzioni rispondono alla domanda di controllo dei genitori cercando di porre dei limiti, ma a volte questo finisce col peggiorare le cose, come se si pensasse che il problema sia originato dalla mancanza di autorità del genitore cui si cerca di supplire prescrivendo un farmaco o inserendo il ragazzo in comunità. Ma in questo modo si agisce come se tutto dipendesse solo dalla mancanza di controllo, senza valutare i processi evolutivi del ragazzo: servirebbe una visione sistemica che permetta di capire che cosa non va nella relazione e quale ruolo abbia la violenza.

Che il problema nasca da una relazione complessa tra genitori e figli e dall’eccesso di aspettative di molti genitori è confermato dal fatto che la percentuale di violenze aumenta quando si tratta di figli adottivi.

Il problema riguarda specialmente i ragazzi adottati più grandicelli che arrivano dall’estero spesso dopo aver vissuto esperienze difficili. In questo caso può essere necessario una fase di accoglienza. Anche i genitori naturali a volte sembrano rimpiangere il figlio bambino con il quale era facile mantenere una relazione e chiedersi da dove arrivi lo sconosciuto aggressivo che si trovano davanti.

I ragazzi sono sotto il peso di ricatti emotivi imbriglianti, meccanismi dai quali è difficile svincolarsi. Il comportamento disfunzionale è un sintomo della difficoltà di prendere le distanze dalla dedizione, dal sacrificio. Bisognerebbe mettere i ragazzi in condizione di pensare che la vita e la serenità della mamma non dipendano da loro.

Il suggerimento è soprattutto quello di fare meno, esserci meno, occuparsi di se stessi e non del figlio anche se questo significa accettare compromessi.

Dobbiamo ricordare che i figli sono un’entità separata da noi. Lasciarli liberi di essere se stessi cercando di preoccuparsi meno.

Spesso la sregolatezza nasce come reazione a un eccesso di controllo, ma anche di investimento affettivo e di aspettative.

Bisognerebbe cercare di creare un clima il più possibile sereno, anche quando si tratta di chiedere aiuto: evitare di additare l’adolescente come l’unico con dei problemi da risolvere, provando piuttosto a dire “cominciamo ad occuparci tutti insieme del nostro benessere come famiglia.”

L’idea è uscire da una cultura sacrificale alleggerendo al tempo stesso il ruolo del genitore e le aspettative nei confronti dei figli.

Dietro la violenza dei ragazzi spesso c’è una paura emotiva molto forte. L’obiettivo è quello di rendere il clima emotivamente più neutro. Se ci si fa una certa idea di come sia un figlio, di quello che potrebbe fare, queste preoccupazioni portano a leggere i suoi comportamenti in modo allarmistico e a diventare genitori ipercontrollanti.

Questo può ostacolare i processi di socializzazione dei figli e portarli ad accumulare rabbia creando un circolo vizioso.

E’ vero che per diventare adulto devi camminare con le tue gambe ma forse dobbiamo cominciare a pensare che per farlo non sia necessario passare attraverso una fase di conflitto.

 

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