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L’autolesionismo : i suoi significati nel contesto carcerario

L’autolesionismo : i suoi significati nel contesto carcerario

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L’autolesionismo si può manifestare in diversi contesti. In questo articolo parliamo dell’autolesionismo nel contesto carcerario.

Spesso in carcere farsi del male rappresenta un violento strumento di comunicazione.

L’impulso aggressivo che, in una struttura coattiva come il carcere, non può essere rivolto all’obbiettivo, all’istituzione carceraria, viene rivolto sulla propria persona, tramite spostamento dell’aggressività che da eterodiretta diventa autodiretta manifestandosi in diversi modi. Si può trattare di tagli provocati da lamette da barba, di abrasioni, di ingerenza di corpi estranei e di gas da bombolette a disposizione a scopo culinario.

Un insieme di fattori spiegano l’insorgere del fenomeno: la mancanza di spazi, la grave situazione di affollamento che caratterizza le carceri italiane, l’isolamento, la carenza di personale specializzato in grado di intervenire nei momenti di crisi e personale a rischio di burn-out.

Il detenuto è sopraffatto da sentimenti ed emozioni difficili da contenere come rabbia, aggressività repressa, depressione.

Le cause dei comportamenti autolesivi possono essere di natura endogena (caratteristiche di personalità, presenza di disturbi patologici), esogena (legate all’ambiente carcerario), strumentale (con lo scopo di ottenere benefici come evitare un trasferimento o al contrario ottenerlo in una struttura curativa o ritardare il processo).

Gli istituti penitenziari che dovrebbero documentare gli episodi di autolesionismo, nel raccogliere i dati non distinguono tra episodi strumentali ed episodi causati da disagio psicologico rendendo difficile coglierne le reali motivazioni.

L’appartenenza etnica può rappresentare una variabile che influenza la modalità con cui ci si procura la lesione. Per i detenuti italiani è più frequente il ricorso a tagli prodotti da lamette soprattutto sugli avambracci o sul ventre, mentre per quelli di religione mussulmana sono più frequenti tagli profondi, tali da provocare una perdita di sangue alla quale viene attribuita una sorta di potere purificatore.

E’ proprio tra gli stranieri che il fenomeno dell’autolesionismo assume dimensioni più significative, mentre non è particolarmente diffuso tra i tossicodipendenti.

L’autolesionismo ha una fisionomia prevalentemente maschile ed è più frequente tra i minorenni.

Sembra che l’aspetto psicopatologico sia marginale rispetto ad altri aspetti come lo sconforto o le notizie negative di natura personale legate in particolare alla situazione detentiva.

Anche una situazione di incertezza sembra influenzare in modo significativo le condotte autoaggressive che infatti nella maggioranza dei casi si verificano in soggetti a condanna non definitiva e in attesa di giudizio.

L’impatto con l’ambiente carcerario, la difficoltà di adattamento, l’incertezza rispetto al proprio destino determinano un disagio che si manifesta in modalità autodistruttive con lo scopo di allentare la tensione e rivolgere a se stessi una rabbia che non si potrebbe esprimere diversamente.

Nei casi di una sentenza che si considera ingiusta o di una sanzione disciplinare l’autoaggressività è reattiva piuttosto che distruttiva ed è espressione di un conflitto.

L’atto autolesivo assume il significato di una protesta spesso fine a se stessa che non tende ad ottenere un beneficio.

Gli atti di autolesionismo in ogni caso non rappresentano l’anticamera del suicidio in quanto di solito i suicidi non sono preceduti da comportamenti autoaggressivi sia all’interno che all’esterno del carcere.

Alcune ricerche tuttavia hanno messo in luce l’importanza di fattori psicopatologici come traumi subiti nell’infanzia, panico e psicopatia come predittori di comportamenti di autolesionismo rispetto a comportamenti di ideazione e di messa in pratica del suicidio nei quali sembra avere maggiore importanza come fattore predittivo la depressione.

L’autolesionismo nel carcere, per quanto possa avere una finalità strumentale, è in ogni caso sintomo di un vissuto interiore di disperazione profonda che porta la persona ad utilizzare qualsiasi mezzo per entrare in contatto con l’esterno o ottenere ciò che ritiene suo diritto e che le viene negato.

L’autolesionismo sembra essere l’unica strada percorribile per la risoluzione dei propri problemi.

Poiche’ gli atti autolesionistici rappresentano una percentuale modesta rispetto al totale dei detenuti che entra ogni anno in carcere il fenomeno potrebbe essere affrontato adeguatamente dal personale in servizio presso gli istituti penitenziari. Tuttavia non sempre il personale è in grado di farlo a causa della sovrappopolazione carceraria e della tendenza da parte del personale a sottostimare il fenomeno a discapito della prevenzione, considerandolo una manifestazione propria del contesto penitenziario e radicata in esso.

La natura reattiva di queste condotte e la sua contestualizzazione all’ambiente carcerario rendono necessarie strategie preventive orientate sia ad una conoscenza più approfondita delle motivazioni sia al miglioramento delle condizioni strutturali che spesso nella collocazione dei detenuti non rispettano alcune importanti regole che riguardano l’età dei soggetti e il tipo di reato.

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