• Luglio

    24

    2017
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I microbi che vivono nell’intestino influenzano anche il nostro cervello ?

I microbi che vivono nell’intestino influenzano anche il nostro cervello ?

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Vi ricordate “il nostro secondo cervello”? Eccoci qui a parlarne ancora …

Il corpo umano e’ assediato da microbi, soprattutto batteri e funghi, quantitativamente sono più’ microbi che altro. Il loro peso totale e’ di due kg.

E’ stato dimostrato che non potremmo vivere senza, in quanto ne dipendono sia la digestione che il sistema immunitario.

Si stima che nel nostro tratto intestinale, lungo fino a otto metri, vivano fino a cento miliardi di microbi. Essendosi adattati nell’intestino a una vita in assenza di ossigeno, sono difficili da coltivare in laboratorio. Sono stati scoperti solo pochi anni fa quando si e’ stati in grado di analizzare frammenti del loro patrimonio genetico in campioni di feci.

L’influsso dei microbi che abitano nel nostro intestino non e’ limitato al loro ambiente immediato. Molti studi indicano che la composizione della flora intestinale ha effetti sull’intero organismo, anche sul cervello.

E’ noto fin dall’antichità che l’intestino e la psiche sono strettamente intrecciati tra loro.

Lo stress nel lungo tempo può’ causare ulcere gastriche. Una questione sentimentale complicata o un esame importante possono causare mal di pancia. Spesso quando siamo tesi e preoccupati ci si chiude lo stomaco mentre per consolarci dei dispiaceri a volte sentiamo il bisogno di mangiare in modo smodato.

Anche in campo scientifico pertanto molti parlano dell’intestino come di un secondo cervello. Nella parete intestinale si trovano almeno cento milioni di cellule nervose. I messaggeri chimici con cui comunicano tra loro i neuroni dell’intestino sono gli stessi che si trovano nel cervello.

La ricerca ha scoperto che cervello e intestino comunicano in modo bidirezionale, non solo il cervello invia segnali all’intestino ma anche questo a sua volta invia informazioni, ad esempio al sistema limbico il centro in cui vengono elaborate le emozioni.

Peter Holzer, professore di neurogastroenterologia sperimentale all’Università medica di Graz sostiene che l’intestino influenza i nostri sentimenti e la nostra condotta molto più di quanto si creda.

Diversi esperimenti sugli animali dimostrano che ci sono quattro vie di comunicazione tra cervello e intestino: le fibre nervose, gli ormoni, le citochine che sono i messaggeri del sistema immunitario e il microbioma intestinale costituito da batteri e funghi.

I gastroenterologi conoscono oltre venti ormoni intestinali che possono avere un’influenza anche sulla psiche.

Negli esperimenti con i topi Peter Holder e i suoi collaboratori hanno dimostrato che gli animali diventano depressi quando mancano di un ormone intestinale, il peptide YY. Eliminato questo ormone, attraverso la manipolazione genetica, i topi erano molto più’ vulnerabili allo stress e manifestavano un comportamento tipico della depressione. Inoltre la grelina, l’ormone della fame, ha un effetto antidepressivo che e’ stato dimostrato sperimentalmente.

Secondo Holzer anche le citochine, i messaggeri chimici del sistema immunitario, possono avere effetti a livello psichico. Pazienti trattati con interferone, un tipo di citochina, nella terapia del cancro o della sclerosi multipla, si ammalavano di depressione.

Anche la correlazione tra stress cronico e depressione si potrebbe spiegare con gli effetti delle citochine. Infatti uno stato cronico di spossatezza può contribuire a rendere più permeabile la mucosa intestinale, in questo modo una maggiore quantità di elementi batterici può raggiungere la parete intestinale attivando il locale sistema immunitario che aumenta la produzione di citochine. Queste, raggiungendo il cervello, possono dar luogo a stati d’animo depressivi o a disturbi d’ansia.

E’ possibile che la sindrome dell’intestino irritabile, considerata finora un disturbo psicosomatico, abbia una causa diversa. Infatti ricerche recenti hanno ampiamente dimostrato che il microbioma intestinale può avere un ruolo chiave nell’insorgere della sindrome.

Sembra che in questi pazienti la varieta’ di batteri nella flora intestinale sia significativamente ridotta.

E’ possibile quindi che le emozioni e il comportamento umano siano in una certa misura influenzati dallo stato dell’intestino? C’è ancora molto da scoprire ma certamente esiste una interazione tra i batteri intestinali e il cervello, interazione che attualmente e’ studiata soprattutto negli esperimenti sugli animali.

Stephen Collins e i suoi collaboratori, alla McMaster Università di Hamilton, in Canada, hanno prelevato la flora batterica di topi appartenenti a un ceppo caratterizzato da grande attività esploratoria e l’ha iniettata in topi più timidi che sono diventati più attivi e coraggiosi. Anche iniettando nei topi più attivi la flora di quelli più timidi si otteneva lo stesso risultato, ossia in questo caso l’iniziativa e l’attivita’ esploratoria si riducevano in modo importante.

Non sappiamo fino a che punto questi risultati si possano generalizzare agli esseri umani. Peter Holder sostiene che l’idea che il microbioma intestinale abbia un ruolo importante nell’insorgere di disturbi psichici sta acquistando un peso sempre maggiore. Ad esempio i pazienti che soffrono di intestino irritabile presentano spesso disturbi d’ansia e depressivi. Secondo Holder questi sintomi sono la conseguenza di un’alterazione della flora intestinale piuttosto che esserne la causa.

L’esistenza di una correlazione tra patologia intestinale e problemi psichici non dice quale patologia condizioni l’altra.

Peter Bork del laboratorio europeo di biologia molecolare a Heidelberg, ha cercato di rispondere a questo dilemma nel suo lavoro pubblicato nel 2011 nel quale e’ stata analizzata la flora intestinale di un ampio campione europeo, americano e asiatico.

Questa ricerca ha dimostrato l’esistenza di tre enterotipi caratterizzati dalla prevalenza di ceppi batterici diversi. Anche nella medicina cinese tradizionale si distinguono tre tipi costituzionali diversi, quindi sembra esserci una correlazione con i risultati dello studio di Bork.

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